Friggere, capitolo due.
Nel primo post dedicato a questa tecnica di cucina piuttosto controversa, amata odiata & temuta, ho elencato i cinque passaggi fondamentali per ottenere un’ottima frittura: dalla scelta dell’attrezzatura corretta a seconda del tipo di frittura, al taglio corretto degli alimenti, all’uso del grasso corretto e più idoneo).
E ho parlato di punto di fumo: ora andiamo a scoprire nel dettaglio di cosa si tratta.
I GRASSI E IL PUNTO DI FUMO.
Innnanzitutto: che cos’è il punto di fumo?
È il limite di temperatura oltre il quale un grasso comincia a decomporsi, dando origine a delle trasformazioni chimiche con le quali si ha la formazione di acroleina, una sostanza irritante per la mucosa gastrica e tossica per il fegato.
Ecco spiegato il perché il fritto “cattivo” fa male: in sé poverino non farebbe tutto sto disastro, ma il problema sono i grassi e il loro corretto utilizzo.
Occorre quindi conoscere il punto di fumo di un grasso e, muniti di un termometro, non oltrepassare la temperatura massima durante la frittura.
Vi garantisco che è più semplice a farsi che non a dirsi!
Quale grasso usare quindi?
Innanzitutto facciamo distinzione tra grassi animali e grassi vegetali.
Tra i grassi animali troviamo il burro e lo strutto.
Il burro non ha un buon punto di fumo, arriva fino a 130°C, a meno che non sia stato chiarificato, e a quel punto aumentiamo fino a 190°C/200°C.
lo strutto invece ha un ottimo punto di fumo, arriva anche a 210°C, ma lascia un aroma non per tutti gradevole.
I grassi vegetali invece sono ideali per la frittura: olio extravergine e d’oliva hanno un punto di fumo molto alti (210°C); in frittura però possono lasciare sapori e aromi troppo decisi, oltre ad essere comunque uno spreco economico.
Meglio optare su un olio di semi di arachidi, che vince a mani bassi su quello di mais e di girasole.
Tassativamente vietati gli oli di semi misti per un discorso di diversi punti di fumo tutti insieme; ottimi invece l’olio di vinacciolo e di cocco.
La margarina la lasciamo perdere in ogni caso 🙂